storia
IIIA Arcinazzo Romano
a.s. 2013/14
Il cane abbaiava alla luna. Ma l’usignuolo per tutta la notte tacque di paura.
L. Sciascia, Favole della dittatura
L. Sciascia, Favole della dittatura
Sul filo della memoria e del ricordo insieme ai ragazzi abbiamo aperto un'ampia finestra sul nostro passato, quel passato che non si dovrebbe dimenticare mai anche se si vorrebbe cancellare, lo stesso passato che ci deve insegnare a non fare più, a non ripetere.
Proporrò qui i testi letti, indicandone la fonte, e l'attività svolta in classe.
Forse ho scelto il modo meno "gentile" per presentare l'argomento, ma dopo che avrò raccontato cosa è successo stamattina a scuola magari sarete d'accordo con me sul fatto che penso di aver raggiunto il mio scopo, anche se attendiamo i testi dei ragazzi.
Ho fatto uscire fuori tutta la classe e poi ho appeso sulla porta il seguente cartello:
Premetto che nella mia scuola (plesso) al nostro piano ci sono tre aule, due primarie pluriclasse e la mia terza media, quindi il bidello era all'erta e le maestre, mie complici, non avrebbero dato asilo a nessuno dei ragazzi estromessi dalla lezione. Sono rientrata con i ragazzi "ammessi", ma non è stato semplice farli rientrare, erano spaesati e non hanno capito subito quel che succedeva. Mentre fuori sentivo discutere animatamente (le maestre mi hanno riferito che parlavano di leggi fasciste), dentro è accaduto quello che non mi sarei mai aspettato; all'inizio non sapevano cosa dire, poi due ragazze hanno cominciato a piangere ...
Perché prof ha fatto questo? (risposta: mi è stato imposto)
Noi, prof, siamo 17 e non è giusto, tutti dobbiamo fare storia! (risposta: ora, solo noi possiamo fare lezione)
E' brutto così!
Prof, posso uscire insieme agli altri? (risposta: sì, ma non potrai rientrare e sarai trattata come loro) ... la ragazza si è alzata ed è uscita dall'aula
Prof, io non esco, non voglio essere diverso.
Sono stati dieci minuti lunghissimi, poi ho fatto rientrare il resto della classe.
Ho chiesto loro scusa, anche se alla fine avevano capito cosa stessi facendo e abbiamo dato il via alle riflessioni.
- siamo stati cacciati senza un motivo valido
- mi sono sentita esclusa, discriminata
- ho provato rabbia nei confronti degli altri rimasti dentro e verso di lei
... per le altre riflessioni aspettiamo i testi dei ragazzi, ma abbiamo discusso molto sulla mia scelta dei criteri usati per escludere i ragazzi, aiutandoci poi con i documenti e le testimonianze dell'epoca.
QUESTIONE DI RAZZA - Trilussa
- Che cane buffo! E dove l'hai trovato? -
Er vecchio me rispose: - è brutto assai, ma nun me lascia mai: s'è affezzionato.
L'unica compagnia che m' é rimasta, fra tanti amichi, è 'sto lupetto nero:
nun è de razza, è vero, ma m'è fedele e basta.
Io nun faccio questioni de colore:
l'azzioni bone e belle
vengheno su dar core
sotto qualunque pelle.
Brani tratti da:
- Tutti i discorsi, Benito Mussolini, 1938
- Il libro della Shoah italiana, Marcello Pezzetti (da Il mondo di prima)
- testo di storia (esercizi e letture)
Attività:
Per chi è uscito dall'aula
Siamo nel 1938, ho quattordici anni, una mattina mi hanno detto che non potevo più andare a scuola perché ero ebreo.
Scrivi una lettera ad un coetaneo del futuro raccontando ciò che hai vissuto (fatti, emozioni, speranze spezzate ... aiutati con le letture fatte) e consigliandolo nella speranza di un futuro migliore.
Per chi è rimasto in aula
Siamo nel 1938, ho quattordici anni, una mattina alcuni miei compagni di classe non sono più venuti a scuola perché ebrei.
Scrivi una lettera ad un coetaneo del futuro raccontando ciò che hai vissuto (fatti, emozioni, speranze spezzate ... aiutati con le letture fatte) e consigliandolo nella speranza di un futuro migliore.
Ero
lì fuori, insieme ad altri miei compagni, i miei occhi fissavano quella
maledetta porta di legno e nel frattempo scorreva quella scena di quel dito puntato
verso di noi che ci aveva detto di andare fuori e non tornare più.
Non
potevo più tornare nella mia scuola, nella mia scuola!
Volevo
spiegazioni, ma nessuno me le dava perché in fondo delle vere e proprie
spiegazioni non c’erano. E fu proprio in quegli attimi che conobbi la
tristezza, la vera tristezza che era in ognuno di noi lì fuori. Fu proprio in
quegli attimi che capii che quelli lì dentro erano diversi da me, anzi, io ero
diversa da loro. In confronto a loro non valevo niente, loro erano più di me.
In
quegli istanti capii che potevi essere anche la più bella dell’universo, la più
intelligente della classe, la persona più buona in quel mondo, ma eri ebrea,
sì, eri ebrea e non eri nessuno, eri solo una persona che nel mondo era nata
solo perché c’era posto, né più né meno.
Immagina
come potevo essere triste, è come se di punto in bianco arrivasse qualcuno e ti
togliesse la cosa più cara che hai. E perché? Perché sono ebrea. La scuola era
la mia vita, ma me l’hanno tolta ed è come se mi avessero tolto la vita. Ed in
fondo come avrei fatto a vivere senza la mia vita? Da quel giorno, da quel
maledetto giorno non ho più vissuto. Ero una semplice bimba che aveva la scuola
come passione, ma a loro non gliene importava nulla. Ancora adesso mi fa male
ricordare tutto questo, fa male ricordare quelle grida contro di me con quelle
dita puntate contro.
Fa
male.
Ma
fa ancora più male vedere le stesse identiche discriminazioni oggi. Ma tu
rifletti, cos’hai più di quel ragazzo con la pelle nera? Oppure cos’ha lui in
più di te? Niente, siete persone uguali e allo stesso tempo diverse. Immagina
come sarebbe triste il mondo con tutte le facce chiare. Nel mondo c’è bisogno
di contrasto, di armonia: il mondo deve essere un arcobaleno e noi dobbiamo
essere i colori che ne fanno parte. Hai mai visto un arcobaleno di un solo
colore?
Se
un giorno vedrai qualche tuo coetaneo discriminare un ragazzo straniero, vagli
vicino e digli che quel ragazzo lì è uguale a lui, è una persona come lui.
Se
tu credi in te stesso, se credi nell’altro devi lottare affinché oggi questa
parola svanisca nel nulla. Devi impedire che riaccada quello che mi è successo
perché fidati, si parte da una piccola presa in giro fatta anche per scherzo,
ma si arriverà al vero e proprio odio verso una persona. Tu lotta per questo
così un giorno potrai gridare « Il mondo è di tutti» .
Elisa
"Uscite da questa classe"
Questa fù la frase che pronunciò la mia professoressa ai ragazzi
ebrei,io non lo ero quindi potevo rimanere.
Nella classe rimanemmo in pochi, sembrava quasi vuota senza loro...Non
capivamo quello che stesse succedendo e chiedevamo,chiedevamo e chiedevamo di
nuovo,ma la professoressa con uno sguardo serio e freddo rispose che faceva
solo il suo dovere, che eseguiva quello che le era stato detto di fare.
Le mie compagne scoppiarono in lacrime e vedevo in loro che erano
preoccupatissime. Io però avevo capito sicuramente che i miei compagni lì fuori
erano uguali a noi, avevano degli occhi per vedere ciò che succedeva, delle
mani,un naso una testa un corpo,uguali a me,ovviamente non uguali come una
fotocopia,ma il corpo era quello! Avevano un'anima che pian piano qualcuno stava
distruggendo. Distruggevano i loro sogni, il sogno d'imparare. Io, in
quell'aula così fredda e silenziosa, non mi sentivo differente dagli altri e mentre
le mie compagne piangevano decisi di agire e allora chiesi alla professoressa
di uscire insieme agli altri. Lei mi rispose: "Se vai fuori, ti tratterò
come loro e non potrai più rientrare". Mi alzai e uscìi da quella
maledetta porta, senza dire nulla e andai dai miei compagni,lì mi sentivo nel posto
giusto. Sinceramente io non ci faccio nemmeno caso se un mio amico è bianco o
nero, o se è ebreo o altro... Sto parlando con una persona uguale a me che
magari segue altre colture, religioni che segue uno stile di vita diverso dal
mio! E io mi incuriosisco anche a chiedere loro come pregano il loro Dio, come
seguono la loro cultura! Solo un folle,potrebbe discriminare, odiare l’altro perché
diverso, ma siamo tutti diversi! Come se fossimo un prato di mille fiori
diversi,ma che nello stesso modo nascono,sbocciano, emanano polline,appassiscono...
Purtoppo nel mondo non tutti che la pensano come me. Ma queste persone
capiranno prima o poi che tutto quello che è successo, che ancora succede e mi
riferisco alle discriminazioni d'oggi è sbagliato.
Chiara
Ciao Erica,
ti scrivo questa lettera perché ti
voglio far sapere che cosa ho provato, sì quel giorno lì … Ho provato cose che
tu forse neanche riesci a immaginare soprattutto perché sono passati tanti anni
e forse qualcuno ancora non ti ha spiegato che cosa è la diversità. Beh, la
diversità come può essere scritto sul dizionario è una presenza di tratti sia
fisici che caratteriali che ci rendono
uno diverso dall’altro. Invece, almeno per quanto mi riguarda non è
affatto così. La diversità per me non esiste, e non esiste non perché io non la
veda, non esiste perché anche se possiamo essere diversi di carattere o di
aspetto fisico siamo tutti uguali con un cuore e un’anima. L’unico problema è
che per alcune persone che per fortuna adesso non ci sono più, almeno spero,
non è mai stato così: non è così perché si sono sempre visti come delle persone
superiori a tutti gli altri, non è cosi perché hanno sempre creduto che nel
mondo esistono, come le chiamano loro, “le razze”. Sai, mentre ti scrivo questa
lettera sto cercando di ripercorrere tutti quei momenti che mi hanno riempito
il cuore di lacrime amare; sicuramente ti starai chiedendo che cosa mi ha
portato oggi a scriverti, dato che, ora come ora, di questi fatti non se ne
parla più tanto, spesso ci dimenticano mentre bisognerebbe ricordare. Ma ti
scrivo innanzitutto per dirti che non ce
la faccio a tenermi tutti i ricordi dentro e anche perché c’è bisogno che un
adolescente come te conosca tutte queste cose che credo siano molto importanti.
Mi ricordo tutto, tutto nei minimi particolari, tutto quanto! Può sembrare
quasi impossibile ma è cosi. Come quel giorno, quel giorno si che è stato uno
dei più sconvolgenti e tristi della mia adolescenza. Quel giorno è stato il
giorno in cui ho capito veramente che la diversità non esisteva, che la
diversità era solo qualcosa che l’uomo aveva “inventato” per i propri scopi. Ero
a scuola, tutto era tranquillo quando ad un tratto la professoressa di storia
ci chiede di uscire tutti fuori dall’aula. Usciamo. Lei esce. Appende un
cartello alla porta con scritto che potevano assistere alla sua lezione tutti
gli alunni esclusi quelli con i capelli biondi, gli occhi chiari e gli
occhiali. Non sapevo che cosa stesse succedendo. In quel momento sapevo solo
che io potevo rientrare in classe e fare lezione. Io ed altri miei compagni
allora rientrammo e ci sedemmo. La professoressa era immobile seduta alla
cattedra e noi zitti, senza neanche una parola che ci usciva dalla bocca. Lei
stava leggendo quando ad un certo punto ci disse di ripassare storia. Avevamo
capito. Le leggi razziali. Ecco che cosa stava succedendo. Ne avevo sentito
parlare. La scuola aveva cacciato tutti gli ebrei. Mi veniva da piangere. Non
so il perché, ma sentivo il mio cuore battere all’impazzata e la mia anima piena
di un immenso fiume di pesanti lacrime.
Sì, ho pianto. Ho pianto perché dopotutto quella era l’unica cosa che mi veniva
da fare in quel momento. Sentivo un vuoto dentro e non mi rendevo conto che
quel vuoto apparteneva ed era legato ai miei amici, quelli che erano rimasti
fuori. Sentivo quella stanza vuota, come un bicchiere senza acqua, sentivo i
respiri lunghi e nostalgici dei miei amici dentro l’aula. Mi sentivo sola
perché tutto quello di cui avevo bisogno erano tutti, tutti i miei compagni di
scuola. Li volevo lì con me, in quel preciso istante avrei solo voluto che
fossimo tutti insieme, ma non era così e io avevo capito, avevo capito bene il
perché, anche se non volevo ammetterlo per non far straripare quel fiume che
era nella mia anima, che però avrebbe voluto solo uscire fuori. Ecco … questo è
solo uno dei tanti istanti della mia adolescenza piena di ricordi, lacrime e
piccoli sospiri di felicità. E ricordati che la diversità non esiste, puoi
vederla nelle piccole cose di tutti i giorni, così di sfuggita, ma se guardi in
fondo al cuore e all’anima di ognuno potrai vedere che la diversità non esiste
e che nel mondo siamo tutti uguali, perfetti con i nostri difetti!
Camilla
Caro ragazzo,
sono un ebreo del 1938. Sono nato in Italia, sono italiano,
ho una cittadinanza italiana ma sono ebreo, il mio unico torto; tutta la mia
famiglia è ebrea.
Era un tranquillo lunedì , c’era il sole e stavo andando a
scuola com’ero solito dal lunedì al venerdì. Però vicino al portone d’ingresso della scuola c’erano due uomini in camicia
nera, erano armati. Mi stavo avvicinando sempre più al portone, e intravidi delle
mamme che si stavano agitando e che parlavano con quegli uomini.
Senza fare caso alle mamme che gridavano e ai vestiti in
nero, stavo per entrare, quando uno dei due uomini, interrompendo la signora
che urlava, disse:
-Sei ebreo?
- Si. Perché?
-Non puoi più frequentare la scuola pubblica o qualsiasi
tipo di edificio pubblico-
-Perché?
-Sono questi gli ordini del duce - spiegarono loro.
Poi passò la madre di un mio amico e Sebastian, suo figlio.
A quel punto, davanti al portone della scuola si fermò,
doveva andare a scuola. Lo stesso -Sei
ebreo?
-No- disse sua madre poi continuò –come fa a confonderlo con
quella razza?- mentre Sebastian entrava.
-Perché lui si e io no?
Stavolta la risposta fu diretta, senza girarci intorno:-
PERCHE’ SEI EBREO!!!
A quel punto ho cominciato a piangere, perché avevo capito
che non contavo più niente. Equivalevo allo zero. Ero la spazzatura che anche
un barbone avrebbe buttato.
Ti assicuro che non è una bella sensazione e vorrei che tu
non la provassi mai. Immagina di essere discriminato per il tuo modo di essere,
il tuo carattere. È una situazione che ti dà rancore e rimpiangerai il giorno
in cui non ti sei ribellato contro queste leggi che fanno di un uomo polvere.
Giorgio
Caro Giovanni,
sono preoccupato,oggi la maggior parte dei miei amici
e compagni di studi sono rimasti fuori dalla scuola,sento ancora la voce della
preside che li sbatte fuori perché sono ebrei. Sento ancora il loro respiro
sulla mia pelle,mentre ci parlavamo fuori dalla scuola,vedo ancora i loro occhi
e il loro viso sconvolto dalla brutta notizia. E' come un rullino di una
fotocamera che scorre lentamente nella mia mente. Non riesco neanche a stare
attento e a seguire le lezioni perché non riesco a pensare ad altro, per me è
stato uno shock. E' passata solo un'ora dall'inizio delle lezioni, non sopporto
più tutto questo stress, sto pensando a quello che possono provare adesso i
miei amici, i miei compagni, sopportavamo tutto insieme, risolvevamo insieme
tutti i problemi,ma ora non so come aiutarli, non so come fare a stargli
vicino,voglio che sfoghino tutta la loro rabbia e dolore su di me!Però adesso
che siamo divisi non ho potere, non posso fare nulla per loro, nulla!Vorrei
tanto sapere come è cambiato il mondo, tu forse ora non puoi capire tutta la
rabbia che ho dentro, perché sono arrabbiato?Non posso tollerare le bugie, prova
a pensare alle ingiustizie, cioè al perché i miei compagni non possono
frequentare le lezioni come tutti. Perché sono ebrei ?Ma non è una
giustificazione per cacciarli, sono ragazzi come tutti e devono avere gli
stessi diritti degli altri. Chissà adesso cosa stanno facendo,se si sentiranno
soli e forse anche loro si stanno ponendo le stesse domande che mi sto facendo
io. Spero che le lezioni finiscano presto,voglio andarmene da questo posto, perché
ormai non si può definire più neanche scuola, voglio tornare dai miei amici.
Ancora un'ora alla fine, l'ansia aumenta, come la
solitudine e il dolore nel cuore... E' finita la lezione,finalmente posso
tornare dai miei compagni, non vedo l'ora di farmi raccontare quello che hanno
fatto durante la mia assenza,voglio consolarli,voglio stargli vicino. Spero che
nel futuro tutto questo non succeda ma se dovesse accadere, ricorda, resta
sempre vicino ai tuoi amici .
Nicolò
Caro Gianluca,
ti scrivo questa lettera
per raccontarti un po’ la mia vita che credo ti farebbe un po’ da lezione per
come sei fatto sia tu che i tuoi amici, che definirei proprio dei vandali.
Quando ti conoscevo non eri così, sei cambiato da un giorno all’altro; dal
grande educato e bravo ragazzo al ragazzo ignorante e maleducato.
Adesso tu fumi, bevi, bestemmi,
rispondi male, offendi le persone,vai in discoteca quasi tutti sabato e ti
vorrei far notare che hai solamente quattordici
anni, non diciotto che puoi fare come ti pare.
Per cominciare,era una
bellissima giornata di venerdì e come tutti i giorni entrammo a scuola. Alle
prime due ore c’era musica, quella mattina eravamo tutti euforici, svegli e
pronti per la grande interrogazione di storia per le ore successive.
Suonò la campanella e la
nostra professoressa sempre sorridente entrò tutta seria e sembrava
preoccupata, e noi essendo già agitati per l’interrogazione ci preoccupammo
ancora di più.
All’improvviso cacciò
tutti quanti, appese sulla porta un cartello con su scritto che alcuni alunni sarebbero dovuti uscire per non rientrare mai più a scuola. Gli alunni che avevano determinate caratteristiche.
Io non corrispondevo alla
descrizione e così entrai insieme ad altri miei compagni in classe. La
professoressa fece l’indifferente e ci disse di ripassare per l’
interrogazione, ma non ci spiegavamo il fatto del perché la metà della nostra
classe dovesse stare fuori.
Ma subito capimmo; era
nel 1938 ed erano appena state promulgate le Leggi Razziali le quali dicevano
che i bambini ebrei non potevano andare più a scuola e nella mia classe la
maggior parte erano ebrei,ma io non ci ho fatto mai caso a questo per me erano
uguali a tutti, li trattavo allo stesso modo.
La mia compagna di banco
era ebrea e il fatto che da quel giorno non poteva essere più la mia compagna
di banco mi faceva agitare tanto; io e gli altri compagni non accettavamo il
fatto di questa divisione e cominciammo a piangere. Avevo tanto il desiderio di
andare ad aprire quella porta e di farli rientrare tutti, perché quella non era
la mia classe,eravamo quattro gatti,nella mia vera classe eravamo diciassette e
eravamo tutti quanti diversi,ma non di etnia o di razza come dicono le persone
senza cuore,noi eravamo diversi di carattere,di sesso e di bellezza, eravamo
persone diverse!
Quel venerdì in quella
classe non mi sentivo più me stessa era come se avessi voluto diventare come
loro, perché io rimanendo in classe era come se stessi dando ragione alle
persone cattive che avevano cacciato i miei AMICI; allora preferivo schierarmi
dalla parte delle persone escluse e “diverse”.
Vengo a raccontare queste
cose proprio a te perché sei tu che disegni i segni nazisti sui muri dei
giardinetti con l’uniposca,ti ho sentito dire che gli ebrei sono animali che
devono solamente soffrire e devono essere maltrattati. Ma capisci quello che
dici?
Ma prova a metterti nei
loro panni, poi vediamo se cambi idea.
Io voglio solo che tu
cambi idea perché vorrei per te un futuro migliore e bellissimo,ma credo che se
continui ad andare dietro quella massa ti rovini solamente.
Un bacione, nonna Elena
Caro Filippo,
quando tu aprirai e leggerai questa lettera io sarò
già morto. Volevo scrivere questa lettera per sfogarmi e per insegnarti
qualcosa.
Nel 1938 ero un ragazzo e, come te, andavo a scuola. Ero
e sono di religione ebraica.
Quel famoso giorno mentre andavo a scuola tutti mi
fissavano come un extraterrestre. Anche le maestre mi guardavano come se fossi
uno straniero. Quando suonò la campana entrammo tutti e andammo, io e i miei
compagni, nella mia classe. Preparai i libri con le penne tutti continuavano a
fissarmi, finché la maestra si alzò e si avvicinò a me. Io le dissi buongiorno
ma lei niente. Mi guardò per pochi secondi e infine mi disse:
“Prendi le tue cose ed sci fuori dalla scuola”.
Io chiesi perché e che cosa avevo fatto, ma lei non mi
rispose. Presi le mie cose e tornai a casa. Mentre tornavo a casa, come al
solito tutti mi fissavano. Quando entrai a casa c'erano tutti. Io mi preoccupai
perché né mamma né papà mi chiesero come mai non stessi a scuola. Dopo mezz'ora
entrò mio fratello maggiore incavolato nero. Io provai a parlargli ma lui non
mi calcolò neanche. Mamma, papà e mio fratello andarono in cucina e
cominciarono a parlare, io mi misi dietro la porta a sentire ma non capivo
niente. Quando uscirono chiesi spiegazioni a tutto questo, ma solo mio fratello
mi prese e mi disse che noi eravamo ebrei, e non potevamo fare più niente, né
andare a scuola, né al lavoro né in nessun altro posto. Appena sentii questa
notizia ebbi un vuoto d'aria, un mancamento. Solo pensare all'idea di non
rivedere i miei amici, con cui avevo l'infanzia. Non rivedere più le
professoresse, cosa farò con la scuola, la matematica, la mia materia
preferita. Avevo 10, ora cosa mi metterà la maestra. Sono triste, non voglio
vivere così, solo perché sono ebreo perché non devo essere uguali agli altri.
Non possono andare nemmeno al bar, parlare con il barista e con gli anziani che
ogni giorno mi danno un consiglio. Perché tutto a me? Perché? Gli uomini sono
tutti uguali, senza alcuna differenza. Io e tutti gli ebrei vivemmo un periodo
straziante. Gli altri ci misero da parte? Cosa avrebbero fatto al nostro posto?
Tu che cosa ne pensi? Ti sentirò dal cielo se è possibile.
Ti do un consiglio: vivi la vita al meglio e fuggi
dalle cose brutte, rispetta gli altri e apprezzali per quello che sono.
Saluti
Riccardo
Cara Chiara,
stiamo nel 2014 ed è passato molto tempo da quando furono emanate le leggi razziali.
Ti scrivo questa lettera innanzitutto per spiegarti meglio cosa si provava, perché a volte sui libri di storia non ci sono scritte tutte le informazioni che ti servirebbero per capire meglio cosa fosse successo in quel maledetto periodo di terrore; vorrei scriverti questa lettera anche per sfogarmi un po’ in qualche modo. Sai, a volte ripenso a tutto quello che abbiamo passato, perché i ricordi sono in fila e non mi mollano, ad uno ad uno salgono e mi tormentano. Un giorno a scuola mi sentivo confusa, mi sentivo imprigionata, sola ed era molto strano perché non ero sola. Era una giornata strana: i miei compagni ebrei erano stati cacciati da scuola. Un fatto molto strano, non trovi? Nella mia classe regnava solo il dubbio di una paura incerta; regnava solo la perplessità e il dolore di tutti noi, perché ci sentivamo la metà del frutto. Sinceramente mi veniva voglia di piangere. Non capivo cosa stesse succedendo, non riuscivo a capire perché metà della mia classe era stata cacciata senza neanche una stupida, insignificante motivazione che avrebbe potuto fare la differenza. Quel mondo faceva troppo chiasso ed io non sentivo più quello che pensavo. Non riuscivo a stare tranquilla. La mia testa era piena di domande a cui, purtroppo, non riuscivo a dare risposte. Mi sentivo come una piccola formichina in un formicaio gigantesco, non avevo via di scampo. Dovevo solo stare muta e almeno provare a far finta che non stesse succedendo niente, ma non ci riuscivo! Era più forte di me, capisci? Dicono che alcune cose è meglio che le scordi, perché ti mangiano dentro e non te ne accorgi. Beh ... Forse dovrei dimenticare tutto quello che abbiamo passato, ma come faccio? Come faccio a dimenticare un pezzo della mia vita che è stata distrutta? Come faccio? Non riesco nemmeno a dire: a me non interessa più. Non ci riesco, perché io non dimentico nulla, non archivio nulla. Mi è stata tolta un pezzo di vita. Quel maledetto 1938 resterà scolpito per sempre dentro me, anche se non lo vorrò, dovrò accettarlo e basta! Però devo dire che “quest’esperienza” mi ha fatto riflettere molto. Sono diventata più forte e più determinata. Posso solo dirti che affrontare sempre i giorni con la speranza, può farti stare meglio. Sono riuscita ad andare avanti grazie alla speranza di un mondo migliore e credo che dovresti farlo anche tu, dovresti farlo per il tuo futuro che ogni giorno ti segnerà il destino.
stiamo nel 2014 ed è passato molto tempo da quando furono emanate le leggi razziali.
Ti scrivo questa lettera innanzitutto per spiegarti meglio cosa si provava, perché a volte sui libri di storia non ci sono scritte tutte le informazioni che ti servirebbero per capire meglio cosa fosse successo in quel maledetto periodo di terrore; vorrei scriverti questa lettera anche per sfogarmi un po’ in qualche modo. Sai, a volte ripenso a tutto quello che abbiamo passato, perché i ricordi sono in fila e non mi mollano, ad uno ad uno salgono e mi tormentano. Un giorno a scuola mi sentivo confusa, mi sentivo imprigionata, sola ed era molto strano perché non ero sola. Era una giornata strana: i miei compagni ebrei erano stati cacciati da scuola. Un fatto molto strano, non trovi? Nella mia classe regnava solo il dubbio di una paura incerta; regnava solo la perplessità e il dolore di tutti noi, perché ci sentivamo la metà del frutto. Sinceramente mi veniva voglia di piangere. Non capivo cosa stesse succedendo, non riuscivo a capire perché metà della mia classe era stata cacciata senza neanche una stupida, insignificante motivazione che avrebbe potuto fare la differenza. Quel mondo faceva troppo chiasso ed io non sentivo più quello che pensavo. Non riuscivo a stare tranquilla. La mia testa era piena di domande a cui, purtroppo, non riuscivo a dare risposte. Mi sentivo come una piccola formichina in un formicaio gigantesco, non avevo via di scampo. Dovevo solo stare muta e almeno provare a far finta che non stesse succedendo niente, ma non ci riuscivo! Era più forte di me, capisci? Dicono che alcune cose è meglio che le scordi, perché ti mangiano dentro e non te ne accorgi. Beh ... Forse dovrei dimenticare tutto quello che abbiamo passato, ma come faccio? Come faccio a dimenticare un pezzo della mia vita che è stata distrutta? Come faccio? Non riesco nemmeno a dire: a me non interessa più. Non ci riesco, perché io non dimentico nulla, non archivio nulla. Mi è stata tolta un pezzo di vita. Quel maledetto 1938 resterà scolpito per sempre dentro me, anche se non lo vorrò, dovrò accettarlo e basta! Però devo dire che “quest’esperienza” mi ha fatto riflettere molto. Sono diventata più forte e più determinata. Posso solo dirti che affrontare sempre i giorni con la speranza, può farti stare meglio. Sono riuscita ad andare avanti grazie alla speranza di un mondo migliore e credo che dovresti farlo anche tu, dovresti farlo per il tuo futuro che ogni giorno ti segnerà il destino.
Lucia
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