Ieri è successo quel che forse si poteva evitare, quello che si è sperato di evitare, quello che sembrava tanto lontano dalle nostre aspettative e dai nostri pensieri ancora intrisi di pandemia, lookdown, virus, ospedali, mascherine e regole. Una guerra? Non ne avevamo abbastanza?
Forse tutti abbiamo pensato così.
Oggi due ore di storia e la Prima guerra mondiale che ci aspetta, più precisamente l'entrata in guerra dell'Italia, neutralisti e interventisti. Che fare? Possiamo noi parlare di una guerra lontana facendo finta che il mondo non stia vivendo una guerra vicina?
Vicina come? Vicina Quanto? Vicina a chi?
Intanto vicina nel tempo, attualità e poi?
Mi chiedo su cosa fare una lezione, spiegare cosa stia succedendo o partire dalla percezione di cosa stia succedendo? Questo mi piace di più. Si parte forse in modo traumatico.
Parto dalla definizione della parola IGIENE. Sembra uno scherzo del destino in tempi di pandemia, e i ragazzi mi guardano in modo strano.
Igiene: Ramo della medicina che mira alla salvaguardia dello stato di salute e al miglioramento delle condizioni somatiche e psichiche, mediante lo studio e il suggerimento delle misure di protezione sanitaria dei singoli individui (i. individuale o i. privata) e delle popolazioni (i. pubblica), con riferimento, per quest’ultima, a tutte quelle condizioni ambientali (lavoro, urbanizzazione, inquinamenti, trasporti) che coinvolgono problemi di natura sanitaria.https://www.treccani.it/enciclopedia/igiene/
Leggiamo il Manifesto del Futurismo. Ci soffermiamo su parole come: pericolo, temerità, audacia, ribellione, movimento aggressivo, salto morte, schiaffo, pugno, velocità, elementi primordiali, lotta, violento assalto, "glorificare la guerra - sola igiene del mondo-", militarismo, patriottismo, gesto distruttore, "vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie.
Ora comincia a essere tutto quasi più chiaro.
Passiamo all'Italia che entra in guerra nel 1915, riflettiamo su chi vuole fare una guerra e chi no, ma soprattutto perché.
Ora il passo cambia e chiedo: ditemi cosa pensate di ciò che sta accadendo.
Riporto alcune delle riflessioni dei ragazzi e delle ragazze.
- Io ho paura, Putin potrebbe benissimo non accontentarsi e andare oltre.
- Non riesco a comprendere come gli uomini non abbiamo ancora imparato nulla dalla storia e ancora siamo qui a parlare di guerra, ancora una volta.
- Lì ci sono i miei parenti, tutti i parenti di mia madre.
- Quali sono le conseguenze di questa guerra? e allora io non posso più cucinare?
- Ma allora noi andremo in guerra?
- Ma perché dovremmo interessarci di questa guerra?
- Sinceramente trovo molto difficile riuscire a immaginare cosa stia accadendo, è troppo lontano da me, da noi, è lontano dalla nostra realtà e non riesco a comprendere, a immedesimarmi.
La mia prima riflessione: come faccio io a parlare di guerra, questa guerra come altre, come faccio a parlare di qualsiasi problema e riuscire ad andare oltre l'informazione? Spiego che sapere è fondamentale, ma è importante che la mia conoscenza porti da qualche parte. Conoscere non è comprendere, ma solo il primo passo, ma come faccio ad andare oltre? Io non ho risposte, ma posso solo accompagnarvi. Proviamoci.
Partiamo da chi ha tentato in qualche modo di dirci cosa significa essere in guerra.
Leggo un passo tratto da Immagina di essere in guerra breve testo di Janne Teller.
Poi passiamo alla nostra Costituzione.
Articolo 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Ci soffermiamo su quel famoso verbo "ripudiare" sul significato, sui sinonimi, sul fatto che i nostri padri costituenti ci misero molto a sceglierlo.
Sono più confortati, non possiamo dichiarare guerra a nessuno, al massimo intervenire per evitare guerre e assicurare la pace e la giustizia. Ho decisamente una classe che crede nella Costituzione.
Ripudiare custodisce in sé il senso della memoria, la memoria di chi una guerra l'aveva fatta e subita, la memoria di chi aveva vissuto venti anni di dittatura, una memoria che serve a noi a non ripetere gli stessi errori.
Ripudia la guerra.
Ripudia la guerra!
Ci chiediamo: il problema di non sentirsi coinvolti riguarda solo noi? Come uscirne?
Non ho risposte. Ascoltiamo questa magnifica canzone e seminiamo.
SOLO LE PIDO A DIOS
SOLO IO CHIEDERÒ A DIO
Solo io chiederò a Dio
che la guerra non mi lasci indifferente
è un mostro grande e si divora
la povera innocenza della gente
Solo io chiederò Dio
che il dolore non mi lasci indifferente
e che la Porca Morte non m'incontri
prima che queste parole siano spente
Solo io chiederò a Dio
l'ingiustizia non mi lasci indifferente
non voglio mai più porger l'altra guancia
ed il cielo non ci ha mai donato niente
Solo io chiederò a Dio
che la rabbia non mi esca dalla mente
che chi è poi un bastardo non m'incanti
col sorriso che nasconde il niente
Solo io chiederò a Dio
che il passato non sia mai dimenticato
e non si cancelli la memoria
dell'arroganza che ci ha sempre calpestato
E ancora chiederò a Dio
che il futuro non mi trovi diffidente
c'è ancora tanto da inventare
per costruire una cultura differente
c'è ancora tanto da inventare
per costruire una cultura differente
Per non restare indifferenti ci dobbiamo mettere impegno.
Siamo troppo al sicuro? La nostra realtà è troppo lontana? Abbiamo problemi che sono problemi, diversi ma, ammettiamolo, di poco conto rispetto a ... (ma i problemi non sono tutti problemi? con quale strumento potremmo misurarli e compararli?).
Questi siamo noi.
Telegiornale
Stando nel cerchio d’ombra
Come selvaggio intorno al fuoco
Bonariamente entra in famiglia
Qualche immagine di sterminio.
Così ogni sera si teorizza
La violenza della storia.
Nelo Risi
Questi siamo noi.
Dove credete che si trovi la consapevolezza raggiunta di ciò che ci sembra tanto distante da noi? Magari possiamo essere parte della soluzione ai problemi del mondo solo se osiamo e usciamo fuori la nostra zona sicura.
Questi siamo noi.
L'indifferenza è la più grande malattia del nostro tempo. Questo cinismo con cui siamo abituati a crescere. Ma non è tutta colpa nostra. Ti devi alzare alle 7, prendi il caffè di corsa, alle 8 prendi l'autobus, timbri il cartellino alle 9, poi c'è il lavoro, il figlio da riprendere a scuola, la cena da preparare. Poi ti guardi i tg che parlano di massacri in Ruanda, dei morti a Baghdad. E si diventa indifferenti. Non abbiamo più il coraggio di uscire per strada e urlare: "Senza di me!"
(Tiziano Terzani, intervista a Controradio 19 aprile 2004)
Mi viene in mente il racconto Il pesce rosso di Enrico Galiano, dico che dovremmo leggerlo, prima o poi, lo ricordo spesso ultimamente e alla fine lo leggeremo.
Quante volte ci fermiamo a riflettere sulla distanza tra noi e il mondo? Sul fatto che anche problemi lontani sono miei problemi? sulla difficoltà che abbiamo a sentirli tali?
Conoscere non significa comprendere e occorre un passo in più.
Cari ragazzi, aiutandovi con le letture e le riflessioni fatte durante la nostra chiacchierata vi chiedo di scrivere un testo riflessivo sulla vostra idea di problemi nel mondo: quanto vi coinvolgono? quanto li capite? quanto vi sentite partecipi di ciò che accade lontano da voi? ha senso continuare a fare ciò che sempre facciamo sapendo che dietro l'angolo c'è la guerra?
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