Prosegue il nostro viaggio tra i diritti e i doveri dei piccoli cittadini del mondo. Dopo aver introdotto il concetto di regola, di cittadino, dopo aver analizzato le regole in un contesto (poi arriveranno gli altri) e aver introdotto cosa significa essere bambino - ragazzo (qui le lezioni precedenti),è ora di fare un passo avanti e parlare del difficile concetto di identità. Ancora un diritto.
Ho chiesto ai ragazzi cosa significasse identità, la loro risposta, quasi unanime, è stata: identità è un documento dove c'è scritto come ti chiami, quanto sei alto, dove abiti, quando sei nato, se hai segni particolari...solo Gioia ha detto: identità significa anche avere delle cose che gli altri non hanno, distinguerti dagli altri. Come inizio non è male.
Abbiamo letto dei testi, sui quali i ragazzi dovranno svolgere delle diverse analisi. Vi propongo i testi, anticipando anche la lezione successiva, al termine della quale sapremo cosa altro significa identità oltre a "un documento".
Lezione 1
Primo testo:
Storia di lei
Comincia qui la storia di
qualcuno che non aveva niente, neanche il nome: io l’ho sentita, e ora la
racconto, prima dicendo un dove, poi un come. Il dove è sulle Ande, gran catena
di monti dell’America Latina, grandissime vallate e altopiani: nacque lassù, ed era una bambina. Nacque da
campesinos, contadini con poca terra e molta povertà: e certo, appena nata,
ebbe un nome, Carmen, Eugenia, Ana, Luz, chissà. I suoi genitori, quando
nacque, volevano che il suo nome restasse, ma per poterlo fare registrare
dovevano pagare delle tasse. Soldi per quella spesa non ce n’era, così il suo
nome non fu registrato; Ana, Eugenia, Carmen, quel che fosse, non fu mai
scritto, solo pronunciato. Per cinque anni visse sulle Ande, e aiutò la madre e
le sorelle a lavorare i campi: le sue mani, già a quell’età, non erano più
belle. Portava l’acqua, zappava la terra, raccoglieva la legna e le patate,
impastava focacce: a cinque anni aveva già le mani rovinate. Sua madre la
chiamava con il nome che non sappiamo, e diceva così: -…vedrai, quando sarai
più grande, tu vivrai bene, non sarai più qui. Non farai più lavori di fatica,
e mangerai ogni volta che vorrai, con vestito
rosso andrai a ballare, e a casa, ogni tanto, tornerai. Perché la
madre di quella bambina parlava in quel modo? Perché c’era, nel villaggio, giù
in basso, nella valle, la signora Jacinto, un’infermiera. La signora Jacinto,
che sapeva il numero di figli di Marita, questo era il nome della madre, un
giorno le aveva detto: - Ahi, che brutta vita, fanno i tuoi figli, su per la montagna, e soprattutto quella piccolina,
come si chiama?... Ma sicuro! È forte? È intelligente? È carina? Sai cosa
penso? Se voi me la date, la porterà in città, da certa gente che la terrà, la
farà andare a scuola: se invece cresce qui, non avrà niente. Ma tutto questo
quanto costerà?-Aveva chiesto Marita, sperando. Rispose l’altra: - Farai a casa mia un po’ di pulizie, di quando in
quando. Così, a cinque anni, con un nome che era una parola pronunciata, non scritta sulla carta, la bambina giù nella gran
città fu trasportata. Ma cosa accade? Chi l’accompagnava da quella brava gente,
si sbagliò? Oppure Jacinto era bugiarda? Che cosa accadde? Questo non lo so.
Dopo un anno, lassù, quell’infermiera disse a Marita: - Si è persa in città: la
polizia la sta cercando, e certo, un giorno o l’altro, la ritroverà. Ma se le
cose stavano in quel modo chi cerca una bambina, chi la trova, se non ha un
nome, se non ha una carta, se della sua esistenza non c’è prova? Ma non era
così: quella bambina non si era persa, era stata venduta, per un po’ di denaro,
a una famiglia, e stava lì, a servire, sconosciuta. Lei diceva: - il mio nome
è… Ma, per paura che fosse trovata, quelli glielo cambiarono in Lucia, e con
quel nome falso fu chiamata. E non andava a scuola, ma faceva, piccola serva, i
molti lavori che occorrono: puliva, cucinava, e stava in casa, non andava
fuori, perché dove può andare una bambina che non ha un nome, e nemmeno sa il
nome del villaggio dov’è nata? Dove può andare, in una città? E lavorava lì,
dove le davano almeno da mangiare e da dormire: era un fantasma che non ha
nemmeno un nome proprio, che si possa dire. Dopo tre anni finì in una casa
piena di gente, a lavare, ore e ore, i panni a tutti, nell’acqua bollente, e le
sue mani erano un dolore. Un giorno che, dopo la gran fatica, qualcuno ancora
la picchiò, fuggì. Per un giorno e una notte vagò sola, mangiò rifiuti, e per
strada dormì. Si risvegliò in un letto. Aveva accanto una giovane donna,
un’assistente, che chiese il suo nome sorridendo, ma la bambina non rispose
niente: il nome antico l’aveva scordato, ma non disse “Lucia”, per paura di
essere ritrovata dai padroni, così rimase zitta, ferma e dura. Poi in una
grande casa fu portata, con molti altri bambini e bambine. C’era una scuola
dove si studiava, e le maestre, delle signorine. Lei parlava pochissimo,
ascoltava, e disegnava, scriveva, imparava. - Ricordi quando eri piccolina?-
Chiedevano, ma lei non ricordava. Le diedero un nome, per chiamarla: il nome
era Francisca. Dopo un po’ lei
rispondeva a quel nuovo nome, e di Lucia si dimenticò. Quasi tutti i bambini,
in quella casa, compivano gli anni a Natale, perché la loro età non si sapeva:
era un compleanno generale. Lei, un Natale, compì undici anni, ed ebbe in
regalo un libro grande, un po’ usato, ma le piacque molto, c’erano molte foto
delle Ande. Un giorno, a marzo, a pagina novanta, vide una montagna con la cima
che somigliava a un lama senza orecchie, e le
sembrò di averla vista prima; lo disse, allora, alla sua maestra, e la maestra,
molto emozionata, guardò una carta, poi lesse il nome di un villaggio: “San Tomè de Plata”. E la bambina cantò
una canzone che diceva così: “Santo Tomé, proteggici fin quando siamo vivi, e
poi, da morti, prendici con te!”. E Gracia, la maestra, disse: - Sai,
Francisca, presto noi faremo un viaggio! Lei la guardava, zitta. Gracia
aggiunse: -lassù c’è neve, adesso, andremo a maggio. E quando venne maggio,
prima in treno, poi sopra una corriera gialla e blu, le due
arrancarono su per le Ande: -Guarda, Francisca! San Tomé, lassù! Lei stava ad occhi aperti, un po’ stordita, e le
sembrava un sogno, e sorrideva, guardava, e d’improvviso pianse forte, perché
guardava e riconosceva. E poi rivide sua madre, Marita, e Marita rivide sua
figlia, e tutti che piangevano ridendo, tutto il villaggio insieme alla
famiglia. E dopo Gracia disse:- Noi, laggiù, la chiamiamo Francisca, ma qual è il suo nome vero? - E Marita disse:-È Consuelo- e la
strinse a sé. Così ebbe il suo nome, dichiarato, scritto per sempre: fu lei che
lo scrisse. Poi diventò maestra, e insegnò a scrivere ai bambini, finché visse.
"Storia di Lei" di Roberto Piumini, edito nella
raccolta "Non calpestate i nostri
diritti", Ed. Unicef/il battello a vapore.
Attività
1. sottolineare tutto ciò che descrive la piccola protagonista (caratteristiche e azioni)
2. individuare il momento della storia che più ti ha colpito e spiegare il perché
3. fare una presentazione della protagonista, Lei
Secondo testo:
le attività sono quelle a conclusione del passo
terzo testo:
In Cina spariscono oggi oltre due milioni di bambine
Hai mai sistemato una bambina?" chiede
insistente una contadina del villaggio alla giornalista Xinran, durante
un'intervista. La giovane sposa di campagna sa bene che è suo
dovere dare alla luce un maschio, ed è convinta che
ogni donna, come lei, quando mette al mondo una femmina sappia altrettanto bene
cosa fare: deve trovare il modo di "sistemare" la bambina, di
sbarazzarsi di lei. Deve, suo malgrado, abbandonarla.
L'abbandono delle bambine appena nate era, ed è tuttora, una pratica
tristemente diffusa in Cina, e non solo nelle zone rurali, ma anche nel resto
del paese, complici le ristrettezze economiche e una legge sulla pianificazione
delle nascite che per anni ha imposto a ogni famiglia un figlio solo. Alle
bambine più fortunate il destino ha riservato l'amorevole accoglienza di una
famiglia adottiva in un paese occidentale. Per molte altre nascere femmina ha
significato essere brutalmente uccise appena venute al mondo. .(tratto da LE
FIGLIE PERDUTE DELLA CINAXinran)
Nel 1979 in Cina viene emanata una legge per risolvere il problema della
sovrappopolazione: “Legge eugenetica e protezione salute” questa legge prevede
un duro regime di controllo delle nascite; una coppia in Cina deve avere un
solo figlio, e avere una femmina è considerata quasi una maledizione, una
sciagura, perché per una famiglia cinese avere una sola femmina significa
vedere la propria dinastia estinguersi.
In Cina spariscono oggi oltre due milioni di bambine, vengono uccise appena nascono,
appena il loro corpicino nudo testimonia la loro condanna a morte : l’essere
femmine. Molte donne che sono incinte vengono arrestate e vengono costrette ad
abortire, dopo vengono sterilizzate, le madri che si rifiutano di perdere le
loro bambine vengono minacciate dalla polizia finché non vengono convinte ad
abortire. Alcuni medici di professione vengono incaricati di uccidere le
neonate sotto la pressione del governo cinese. Spesso nei quartieri poveri
della Cina la gente cammina per strada ceca, non vedendo i cadaverini nudi
gettati sui marciapiedi come dei piccoli gattini morti.
Dal governo cinese verranno registrate come morti da polmoniti e crisi
respiratorie.
Le famiglie spesso si fanno aiutare nell’infanticidio dai governi locali, per
loro inviare un rapporto di avvenuta morte è motivo di grande orgoglio.
Significa che stanno mettendo in atto le regole, stanno rispettando la legge.
Le famiglie ricche possono avere tanti bambini, si perché avere i soldi
significa poter pagare la tassa sui figli. E’ una sanzione applicata ad ogni
figlio dopo il primo. Se non si paga si perde improvvisamente il lavoro, la
casa di famiglia viene demolita. Un altro modo per non farsi strappare le
proprie figlie è quello di non iscriverle all’anagrafe, così queste bambine
saranno meno di fantasmi, saranno per sempre relegate nel buio dell’anonimato,
del nulla.
E così queste bambine mai nate verranno sempre respinte dagli ospedali, non
potranno mai curarsi, non potranno mai essere operate, e moriranno di ogni
sorta di malattia, perché non esistono e non sono degne di essere curate. Una
recente indagine ha calcolato che tra circa venti anni gli uomini cinesi
avranno difficoltà a mettere su famiglia perché uccidendo le bambine non ci
saranno più donne. Le bambine che riescono a sopravvivere saranno sempre
infelici.
A loro non andrà nulla nel piatto se non le briciole lasciate dal fratello
maggiore, loro non andranno mai a scuola, perché il privilegio di studiare non
è concesso alle figlie del dio minore, loro staranno sempre chiuse in casa
perché utili alle faccende domestiche e utili agli uomini di casa che le
considerano loro oggetti personali da maltrattare e violare. Loro non potranno
mai scegliere un marito con cui fare una famiglia perché la maggior parte verrà
venduta, come schiave, ancora bambine queste povere creature diventeranno mogli
a otto, nove, dieci anni, mogli maltrattate e schiavizzate, mogli che dovranno
poi pregare di non avere mai una figlia femmina. Quando queste donne non
servono più come madri rischiano di essere uccise e torturate. Altre bambine
che riescono a sopravvivere vengono affidate agli orfanotrofi, la maggioranza
dei bambini presenti negli orfanotrofi cinesi è di sesso femminile.
Le storie che girano intorno a questi infanticidi sono tra le più crudeli,
nella provincia di Henan una levatrice è stata cacciata e minacciata da una
famiglia perché aveva salvato una bambina appena nata con problemi respiratori,
la bimba è stata abbandonata poco dopo la nascita sui binari di una ferrovia.
Una organizzazione non governativa francese ha fatto infiltrare un falso
infermiere negli ospedali nel Sud della Cina, sono pervenuti filmati
agghiaccianti, bambine uccise con una iniezione letale non appena avevano
pianto per la prima volta rivolte al loro mondo triste. Una reporter americana
Norma Mayer è entrata in un orfanotrofio cinese, su centosettanta bambini,
centoventi erano femmine, la reporter le descrive come larve di pelle bianca,
dagli occhi affamati e disperati, costrette su letti putridi, con le articolazioni
deformate, senza nulla che le possa far somigliare a delle bambine normali.
Norma viene subito cacciata.
Alcune bambine vengono abbandonate nei cassonetti, lasciate morire affogate,
buttate per terra e prese a calci finché si estingua per sempre il loro timido
vagito. Quello attuato dal governo cinese è un vero e proprio olocausto del
genere femminile. Nemmeno nel medioevo i diritti umani erano così offuscati
dalle menti perverse del potere. Sorge spontanea una domanda…dopo aver
inventato i gatti bonsai chiusi vivi in ampolle di vetro, dopo aver torturato
pur avendo firmato la Convenzione Contro la Tortura e la Convenzione
Internazionale sui Diritti del Fanciullo, riusciranno i cinesi a impiantare un
ovulo femminile nel ventre maschile in modo che gli uomini si possano procreare
da soli?
da humanita uomo
Questo, com'era prevedibile, è stato il testo più duro da leggere, uno sguardo diretto e crudo sulla realtà, che ci ha portato a riflettere sull'identità come esistenza, come diritto alla vita. In fondo avere una coscienza civica significa anche "conoscere i problemi del mondo, interessarsene, e sentirli vicini".
Lezione 2
Cercheremo di tirare le fila della lezione precedente per arrivare a definire tutte le sfumature del concetto di identità.
Innanzitutto per la prima volta leggeremo insieme alcuni articoli della Convenzione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza.
Hai il diritto di avere un nome e al momento della tua nascita
il tuo nome il nome dei tuoi genitori e la data devono venire
scritti Hai il diritto di avere una nazionalità: e il diritto di
conoscere i tuoi genitori e di venire accudito da loro .
Articolo 8
La tua identità deve essere difesa, compresa la nazionalità, il nome e le tue relazioni familiari.
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